La storia narrata in Mimma di Valeria Pecora è un puro esempio di come la vita possa mutare velocemente in bene o in male. Di come possa dare o togliere qualsiasi cosa senza guardare in faccia nessuno.
Ci troviamo a Gennas Serapis, il centro abitato del borgo minerario di Montevecchio, nel sud Sardegna. La piccola frazione deve il suo nome alla divinità egizia Serapide, custode e protettrice del mondo sotterraneo. Tutti gli abitanti sono impiegati nella miniera ma Margherita e Tonio cercano di dare un futuro diverso alla loro Mimma. La bambina frequenta la scuola e, grazie all’aiuto dell’amata madrina Anna, impara a conoscere le erbe commestibili e quelle medicinali e si appassiona alla coltivazione dello zafferano.
Il Fascismo ha ormai preso piede ed i Partigiani iniziano a subire le violenze e le ripercussioni della loro scelta politica. Mimma si innamora proprio di un giovane Partigiano e dei suoi ideali di libertà e giustizia.
Ma i giorni felici per Mimma hanno fine e sulla giovanissima donna si abbattono disgrazie, dolore e infine l’onta del manicomio.
Riuscirà la nostra eroina a ribaltare ancora una volta il proprio destino?
Questo romanzo per me è stata una lettura quasi obbligata. Mio nonno era minatore e ricordo ancora sulla credenza del soggiorno buono, quello che rimaneva chiuso e sempre perfetto per accogliere gli ospiti, i riconoscimenti e le medaglie che aveva collezionato in una vita di lavoro in miniera.
Valeria Pecora ci da modo di capire quali erano le reali condizioni di vita dei lavoratori e delle lavoratrici. Se non si moriva sotto terra, i veleni della miniera distruggevano lentamente l’organismo con mali incurabili.
Coinvolgente e pieno di sentimento, è un romanzo che ogni sardo dovrebbe essere orgoglioso di avere a casa e che ogni persona dovrebbe leggere perché la memoria storica è l’unica cosa che può salvarci dal ricadere nel buio del Ventennio.