Ecco, come promesso, la seconda parte del nostro percorso alla scoperta di Grazia Deledda. Trovate qui la prima parte!
Nella seconda giornata della nostra avventura ci siamo recati subito dopo aver fatto la colazione alla Chiesa di Nostra Signora della Solitudine. Si tratta di una piccola costruzione risalente al 1600 come tanti altri luoghi di culto campestri della Sardegna. L’interno è semplice ed ha una sola navata. La piccola chiesa custodisce le spoglie mortali di Grazia Deledda in un piccolo sarcofago di granito nero.
In realtà la chiesa originale venne demolita e successivamente ricostruita secondo il progetto di Giovanni Ciusa Romagna tra il 1947 e il 1958, proprio allo scopo di riportare in Sardegna le spoglie della Deledda, deceduta a Roma nel 1936 e sepolta al Cimitero del Verano. Al suo interno sono custodite la campana originale, datata 1622, e la statua della Vergine Addolorata. Il portone di bronzo, davvero stupefacente, fu scolpito dall’artista sassarese Eugenio Tavolara.
La pace che si respira in questo posto è qualcosa di etereo, sembra di trovarsi finalmente fuori da qualunque tipo di caos. L’aria è fresca e pulita, profuma di macchia mediterranea e si possono sentire gli insetti compiere il loro dovere indisturbati.
La costruzione è accessibile dalla via Ciusa che sale verso il monte Ortobene immersa nel verde. Matilde vuol recitare una preghiera e poi saliamo nuovamente in macchina per raggiungere il Santuario di Nostra Signora del Monte. Si tratta di una piccola chiesa campestre eretta nel 1608 di cui Grazia Deledda scrive nel suo romanzo autobiografico “Cosima”.
Il silenzio e la pace si diffondono assieme ai profumi nell’aria, quasi con timore respiriamo a pieni polmoni sperando di portar via con noi queste sensazioni.
Assieme alla piccola chiesa notiamo tante porticine e finestrelle. Si tratta de “is cumbessias”, piccole stanze che venivano utilizzate per recitare la novena. Ne troviamo traccia sempre tra le righe di “Cosima”:
“Sopra la piccola città, che era già a seicento metri sul livello del mare, sulla cima del Monte sovrastante, fra boschi di lecci e rocce di granito, poco distante dalla proprietà della famiglia di Cosima e dove per la prima volta ella aveva veduto il mare lontano, sorgeva una piccola chiesa detta appunto Madonna del Monte, su uno spiazzo sollevato e recinto di massi. Piccole stanzette erano addossate alla chiesa, sotto lo stesso tetto […] Nelle stanzette dimoravano i fedeli, durante il periodo della novena e della festa della piccola Madonna. […] Oh, e ben il calamaio ella aveva portato, avvolto in uno straccio nero e ficcato dentro una scarpa perché nel transito non si rovesciasse; e trovò anche, nella primordiale dimora, una specie di nicchia, che avrebbe dovuto servire per qualche lumino e qualche immagine sacra, e della quale, invece, ella si servì per deporvi il calamaio, la penna, il suo scartafaccio e alcuni libri, formandone così un altarino per i suoi misteri d’arte.”
Nel 2002 un attentato dinamitardo ha quasi completamente distrutto l’intera struttura che è stata messa in sicurezza e completamente ristrutturata rispettando l’aspetto originale.
Ancora una volta entriamo in un posto denso di ricordi e di sentimenti. Grazia consegna a quell’incavo i suoi tesori e, proprio come recita l’epigrafe, pregò e soffrì in silenzio.
Di fronte alla piccola chiesa c’è un bellissimo parco attrezzato con giochi per bambini e completamente recintato. E’ curato e pulito ed è un bel posto per fare un picnic. Dedichiamo un po’ di tempo ai giochi e ad una delle passioni di Matilde: le bolle di sapone!
Proseguiamo il nostro cammino e ci dirigiamo verso l’area pedonale che conduce alla statua del Redentore.
Ancora una volta incontriamo le parole di Grazia, questa volta su una roccia. Il percorso è di facile percorrenza e la vegetazione è fitta e rigogliosa. Durante la nostra passeggiata ci imbattiamo in una targa di bronzo che recita:
“Il comune di Nuoro in ricordo del Sen. Antonio Monni nel centenario della nascita. 2 agosto 1995.
“Si è tagliato senza pietà, incendiato, danneggiato senza preoccuparsi del’avvenire. E allora diamo l’allarme: l’amore all’Ortobene è una favola di stagione se non ci interessiamo della gioia migliore, le piante. Sen. Antonio Monni”
La frase fa riferimento al grave incendio che nel 1971 devastò il monte e la zona circostante.
Poco più avanti incontriamo una lapide bianca in memoria di Luisa Jerace, deceduta poco prima che il marito, lo scultore Vincenzo Jerace, completasse la statua del Redentore. L’epigrafe, composta da Grazia Deledda, vuole ricordare la donna tanto amata dall’artista calabrese a cui i sardi dell’epoca si sentivano affezionati.
A Luisa Jerace
Donne nuoresi
candidi vecchi pastori erranti
lavoratori spersi nella vallata aulente
a voi tutti che al cerulo
cadere della sera
volgete gli occhi oranti verso l’immenso altare
dell’Ortobene e al bronzeo
Redentore sorgente
tra fior di rosee nuvole offrite il vostro cuore
ricordate la tenera
donna che là oltre mare
per voi inspirò l’artefice ed or sciolta dai veli mortali
eletto spirito
oltre i lucenti cieli
offre il fior della preghiera al Redentore
I Sardi 1905
Infine giungiamo di fronte a dei gradini: ecco, ci siamo! Saliamo con attenzione e ci troviamo di fronte la vastità di un paesaggio meraviglioso su cui troneggia il Redentore di Jerace e di tutti i sardi. La statua è collocata ad un’altezza di 925 metri sul livello del mare. Venne eretta nel 1901, anno del Giubileo, su richiesta di Papa Leone XIII. La statua (senza il piedistallo) supera i 4 metri di altezza e ha un peso di circa due tonnellate. Sul palmo della mano che benedice la città di Nuoro, si può leggere una piccola iscrizione: “A Luisa Jerace, morta mentre il suo Vincenzo la scolpiva”.
Matilde è stupita della grandezza della statua e la guarda con ammirazione. Il vento è libero di scompigliarci i capelli, senza nessun ostacolo ad imbrigliarlo. Sembra di essere sulla cima del mondo.
Ripercorriamo i nostri passi e ci riappropriamo dell’auto. E’ tempo di far ritorno a casa. Sulla strada notiamo dei binocoli panoramici e ci fermiamo ad ammirare ancora una volta il paesaggio. La nostra avventura volge al termine, spero vi sia piaciuta e spero includerete Nuoro nella vostra prossima vacanza in Sardegna!